Il 10 novembre 2021 sarà il giorno in cui nascerà ufficialmente il mercato unico europeo del crowdfunding. Una data storica per un settore ancora molto frammentato dalle tante normative nazionali, ma che è ormai maturo per una nuova fase, all’insegna di regole comunitarie armonizzate e crescita internazionale.
Ma anche se novembre è ormai a un passo, il vero day one del regolamento europeo 2020/1503 sui crowdfunding service providers – approvato in via definitiva a ottobre 2020 – sarà il 10 novembre 2022. Questo perché la norma prevede che qualsiasi Stato membro possa chiedere una proroga di un anno, prima dell’entrata in vigore delle nuove regole. E la richiesta della proroga è uno scenario praticamente certo.
Equity crowdfunding (Getty Images)
L’arrivo del nuovo regolamento europeo è il contraltare dei risultati del sesto report italiano sul crowdinvesting del Politecnico di Milano , il principale osservatorio nazionale sull’andamento del mercato del crowdfunding, sia in materia di equity (capitale di rischio), che di lending (prestiti tra privati oppure ad aziende). La fotografia scattata dal team di ricerca guidato da Giancarlo Giudici è quella di un settore che continua a crescere con forza.
Tra luglio 2020 e giugno 2021, infatti, le 79 piattaforme italiane di crowdfunding hanno raccolto complessivamente 503 milioni di euro, con una crescita del 172% rispetto all’anno precedente. Sono, poi, letteralmente esplosi i minibond emessi da startup e pmi e collocati via crowdfunding. Un settore partito solo da un paio di anni e che – secondo i dati del Politecnico – ha raccolto 22,3 milioni di euro negli ultimi 12 mesi, con una strabiliante crescita del 696%. Un segnale interessante, che dimostra il desiderio degli italiani di ricominciare a investire una parte di risparmi, magari utilizzando canali alternativi alla finanza classica e scegliendo di sostenere direttamente il tessuto produttivo.
Cosa cambierà per il crowdfunding
Ma tornando alle novità introdotte dal regolamento europeo, che si applicano sia per l’equity che per il lending, molte cose cambieranno per emittenti, piattaforme e investitori italiani. L’obiettivo dichiarato di Commissione e Parlamento, infatti, è da un lato quello di creare un mercato unico e più competitivo e dall’altro quello di salvaguardare i potenziali investitori, soprattutto quelli non professionali.
Innanzitutto basterà ottenere la licenza di piattaforma in uno Stato membro per poter operare e raccogliere denaro in tutti gli altri Stati, previa una semplice notifica. Oggi in Italia operano almeno 79 piattaforme e molte di queste hanno dimensioni medio-piccole. Sono aziende la cui principale fonte di ricavi è generalmente costituita da una (piccola) percentuale, sul totale di quanto raccolto dalle campagne che ospitano. In parole povere, molte di queste piattaforme raccolgono volumi non sufficienti per raggiungere almeno il pareggio tra costi e ricavi. Figuriamoci per poter competere su uno scenario internazionale.
Per questo motivo è lecito aspettarsi operazioni di consolidamento, fusioni e acquisizioni tra gli operatori nazionali nei prossimi mesi. C’è poi il tema dei nuovi operatori: un quadro certo di norme e un mercato più ampio e in crescita attirerà con ogni probabilità nuovi player dotati di ampie risorse iniziali, magari attivi in settori contigui (come il bancario) o in altri mercati crowdfunding più maturi (come quello inglese). Anche in questo caso, quindi, è lecito attendersi una certa concentrazione delle piattaforme nel medio-lungo periodo.
Secondo una prima stima di Angelo Rindone di Crowdcore, società che sviluppa software per le piattaforme di crowdfunding, l’adeguamento delle piattaforme esistenti al regolamento europeo, costerà “tra i 20 e i 60mila euro a piattaforma solo per gli adempimenti obbligatori. Ma la spesa totale potrà essere molto più alta, perché va rivista anche tutta la parte di due diligence e di user experience delle attuali piattaforme. A partire, per esempio, dalla localizzazione dei siti. Credo che non basterà solo l’inglese e l’italiano, ma considererei anche il francese e il tedesco. Le piattaforme dovranno aumentare i volumi su diversi mercati per essere competitive”.
Un modello ibrido
Una novità positiva per gli operatori è data dalla possibilità di ospitare sia campagne di equity che di lending sulla stessa piattaforma, aprendo di fatto a un modello ibrido, finora non previsto e che potrebbe avere grandi potenzialità. C’è poi la possibilità di creare delle bacheche elettroniche, nelle quali gli investitori potranno inserire annunci di vendita per quote e prestiti da loro sottoscritti e relativi a campagne di raccolta ospitate dalla piattaforma stessa. In questo caso, le piattaforme mettono solo a disposizione lo spazio, non fanno da intermediari finanziari. Su questo fronte l’Italia ha fatto da apripista in Europa e le bacheche elettroniche sono già previste dalla normativa nazionale, ma finora pochissime piattaforme le hanno attivate.
Lato investitori non professionali, infine, la normativa europea impone alle piattaforme più trasparenza, a tutela dei piccoli risparmiatori. Per esempio, alla registrazione dell’account sarà obbligatorio fare un test d’ingresso per verificare l’esperienza finanziaria, gli obiettivi di investimento e la comprensione dei rischi. Sarà anche necessario affrontare una simulazione della capacità di sostenere perdite, dichiarando una serie d’informazioni sensibili, come il reddito attuale e totale, attività presenti come investimenti e depositi in contante, impegni finanziari e così via. Ogni campagna di raccolta, inoltre, dovrà essere correlata da una scheda contenente tutte le informazioni chiave.
Tutti questi nuovi obblighi informativi e di trasparenza hanno l’obiettivo di salvaguardare i piccoli investitori, ma è possibile che scoraggino chi non ha intenzione di condividere i propri dati sensibili. Il mercato unico europeo è sì un’opportunità, ma anche una sfida che potrebbe essere molto impegnativa per tutto il settore del crowdfunding italiano.
Fonte: Wired