Prima dello scorso febbraio era solo il 5% degli italiani ad essere abilitato al lavoro agile, una manciata in confronto al resto dei paesi europei.
Potremmo dire che il periodo di lockdown abbia, in qualche modo, agevolato l’intento di mantenere gli italiani in casa propria; non soltanto in riferimento alle mura domestiche ma in senso più ampio all’interno dei confini nazionali.
Questa estate si è assistito ad un turismo di prossimità che ha permesso di agevolare la modalità smart working con le vacanze al mare o in montagna.
E se questo modo di lavorare potesse modificare l’intera concezione lavorativa e protrarsi oltre le vacanze estive?
Sarebbe certamente un bene per l’intero tessuto socio-economico italiano.
Secondo quanto riportato da The Economist, il lockdown ha avuto il merito di fungere da vero e proprio spartiacque.
Il settore turistico, in Italia ad esempio, prima del lockdown era affetto dal fenomeno dell’ overtourism, cioè l’eccesso di flusso turistico solo in determinate aree ed in determinati luoghi.
La mobilità fisica concessa dallo smart working ha permesso durante l’estate una diffusione più capillare del flusso turistico: i poli di punta si sono svuotati concedendo maggior respiro a città come Roma e Milano, d’altro lato i borghi più piccoli e fuori mano hanno accolto con piacere coloro che volevano lavorare e concedersi una vacanza nella natura.
Questa modalità potrebbe portare allo sviluppo di un circolo virtuoso che permetterebbe un abbassamento dei prezzi e una riduzione delle strutture turistiche che troppo spesso affollano i centri storici.
Il dibattito sulla questione si è fatto più acceso negli ultimi giorni in seguito ad un’iniziativa che mette maggiormente in risalto la questione Nord/Sud Italia: South Working-Lavorare dal Sud.
L’iniziativa parte dall’idea di un gruppo di giovani siciliani riferendosi ai propri coetanei che lavorando per multinazionali con sede al Nord o in altre parti del mondo potrebbero tornare al sud e lavorare comodamente da casa loro.
Il lato positivo c’è e non può essere messo in dubbio, ma va calcolato anche il risvolto negativo: lo smart working limita il contatto umano e in alcuni settori pregiudica la nascita di nuovi spunti e idee derivanti dal classico brainstorming non programmato che avviene davanti ad un caffè in ufficio.