Dove stanno traslocando i miner di bitcoin in fuga dalla Cina

È un vero e proprio esodo dalla Cina quello che stanno vivendo i “minatori” di bitcoin: la quota di hashrate per il mining a livello globale nel paese del Dragone è scesa dal 75,5% al 46% nel giro di sette mesi, con una redistribuzione tra alcuni paesi asiatici e gli Stati Uniti. L’ultimo dato è riferito ad aprile e lo ha rilevato una ricerca del Centro per la finanza alternativa dell’Università di Cambridge secondo cui la fuga dei miner ha anticipato la progressiva stretta sulle operazioni in criptovalute messa in atto da Pechino o le esternazioni di Elon Musk sull’impatto ambientale del bitcoin.


Un tema quest’ultimo esacerbato dalla crescente difficoltà delle operazioni di calcolo per “estrarre” bitcoin, con un fabbisogno sempre maggiore di energia, possibilmente a costo minore. Se pure stigmatizzato, l’energia elettrica da centrali a carbone è una risorsa che i miner non hanno mai abbandonato del tutto, spostando le loro operazioni a seconda delle stagioni e rendendo difficile anche valutare l’impatto ambientale: la regione del Sichuan, ricca di energia idroelettrica, è salita ad esempio dal 14,9% al 61,1% di capacità totale di mining all’inizio della stagione piovosa, mentre la quota dello Xinjiang, fortemente basato su centrali a carbone, è scesa dal 55,1% al 9,6% nello stesso periodo.

Una regione remota, lo Xinjiang che in passato ha ospitato fino al 36% delle operazioni mondiali di calcolo del bitcoin. A quanto pare, molti hanno scelto semplicemente di attraversare il confine e trasferire le operazioni nel vicino Kazakhstan, che ha moltiplicato di sei volte il proprio livello di hashrate nella produzione di bitcoin, dall’1,4 all’8,2% globale, diventando il terzo paese al mondo. La repubblica dittatoriale ex sovietica dell’Asia centrale offre un costo dell’elettricità persino inferiore, 3 centesimi a chilowattora, ma la maggior parte dei 22 gigawatt di energia elettrica proviene dal carbone da impianti a gas, spiega Bloomberg. Inoltre, ha uno scarso livello di incremento: appena 3 gigawatt in più negli ultimi 20 anni.

Al secondo posto si consolida il ruolo degli Stati Uniti, che hanno visto quadruplicare dal 4,1% al 16,8 la propria porzione. Al quarto e quinto posto seguono Russia e Iran, ma la classifica dei ricercatori di Cambridge vede comparire ai primi posti anche Canada, Malesia, Germania e Irlanda. Secondo l’indice elaborato da Cambridge, la media mensile di hashrate italiana è pari allo 0,11%.

Stretta della Consob su Binance

In merito alle operazioni finanziarie con bitcoin, proprio in Italia è stato diramata un’allerta della Consob, in merito all’exchange cinese Binance, già bloccato nel Regno Unito. La Commissione nazionale per le società e la Borsa ha avvertito i risparmiatori che le società del gruppo, che offre la più grande piattaforma per volumi al mondo, non sono autorizzate a prestare servizi e attività di investimento in Italia, nemmeno tramite il sito (www.binance.com), le cui sezioni ‘derivatives’ e ‘stock token’, relative a strumenti correlati a cripto-attività, erano anche in lingua italiana. Più in generale, il monito dell’autorità di via Martini riguarda l’eventualità di operazioni “che possono comportare la perdita integrale delle somme di denaro utilizzate” nell’effettuare operazioni su strumenti cripto.


Fonte: Wired

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