Il tortuoso percorso legislativo degli Nft

A distanza di due anni dalla prima proposta legislativa europea sulle crypto-attività, è stata pubblicata nei giorni scorsi la bozza – che dovrebbe essere finale, ma che dovrà passare ancora per due votazioni - del Regolamento Mica, frutto dei negoziati trilaterali tra le istituzioni. Uno dei primissimi temi di discussione è stato quello relativo alla regolamentazione degli Nft, i non-fungible tokens, ovvero token caratterizzati da un codice identificativo unico e collegati ad asset digitali o fisici, i più noti dei quali ad immagini create digitalmente come le famose Bored Apes o CryptoPunk

La grande influenza del mondo digitale nel linguaggio è evidente nella classifica dei termini più utilizzati quest’anno fatta dal Collins Dictionary (che cambia totalmente registro rispetto al 2020, quando la parola dell’anno era stata lockdown). L’abbreviazione, decretata parola dell’anno secondo il dizionario inglese, si riferisce ai token non fungibili (non-fungible token) che hanno segnato diversi record nel 2021, dalle vendite milionarie (come l’opera Everydays: the first 5000 days di Beeple) all’essere una vera e propria opportunità di business nel mondo della finanza. Nel corso dell’anno, secondo l’istituto, nel solo Regno Unito l’uso del termine è aumentato dell’11.000%. Tra le parole che fanno parte della lista fatta ce ne sono altre che riguardano la tecnologia - e legate al mondo nft - come crypto, la forma abbreviata di criptovaluta. (FOTO: CHRISTIE’S) - Fonte: Wired

L’attenzione verso gli Nft è da rinvenirsi nel percorso legislativo controverso e tortuoso che hanno vissuto in questi anni. Basti ricordare che gli Nft erano rimasti esclusi dall’ambito di applicazione normativo nella prima versione di Mica del 2020, per poi trovare gradualmente ingresso con le successive modifiche.

Il presupposto della loro iniziale esclusione risiedeva proprio nella loro unicità e non inter-scambiabilità, che ne avrebbe determinato una scarsa rilevanza a livello sistemico. Sennonché il legislatore si è poi accorto che, nella prassi, alcuni Nft circolanti sul mercato non presentavano apprezzabili elementi di unicità, tanto da risultare sostanzialmente fungibili ed utilizzati per finalità diverse da quelle di puro collezionismo, ad esempio quali strumenti di investimento o di scambio. Il tutto accompagnato da un sempre crescente volume di scambi e di capitalizzazione di mercato. 

A livello giuridico, il fil rouge che ha portato le istituzioni ad includere gradualmente gli Nft nella regolamentazione è dunque da individuarsi nella considerazione che la non-fungibilità di questi token, ovvero la loro unicità e dunque la loro non sostituibilità con altri dello stesso genere, non può essere esclusivamente garantita a livello tecnico dall’assegnazione di un identificativo unico, essendo al contempo necessario che gli asset ad essi collegati siano a loro volta effettivamente non fungibili. Sulla base di questa riflessione, dunque, gli Nft che presentano caratteri di fungibilità sono stati progressivamente inclusi nella regolamentazione.  

Abbiamo dunque assistito, su intervento del Consiglio di Europa, all’ingresso nell’ambito di applicazione del Mica degli Nft frazionati – ovvero “porzioni” identiche di uno stesso Nft – sul presupposto che frazioni uguali di un unico bene devono considerarsi tra loro perfettamente fungibili. Questa scelta sembra giustificata, in considerazione del fatto che il frazionamento determina una sorta di comproprietà dello stesso bene ed effettivamente comporta la creazione di token che rappresentano solo una percentuale di proprietà senza veri e propri elementi di distinzione.

Con l’ultima bozza di Regolamento Mica il legislatore europeo si è poi spinto addirittura oltre, andando ad includere nel perimetro applicativo anche gli Nft emessi “su larga scala” o nell’ambito di “collezioni”, poiché tali fenomeni sarebbero indicativi di una loro fungibilità.

Questa ulteriore aggiunta pone però una serie di interrogativi e dubbi sull’efficacia del nuovo impianto normativo. La prima considerazione è che l’emissione di Nft nell’ambito di collezioni non può essere tout court indice di fungibilità, da un lato perché abbiamo assistito a collezioni di Nft profondamente diversi tra loro, e dall’altro perché – anche in caso di Nft con marginali differenze o addirittura uguali – vi possono essere fattori che determinano un maggior valore di un Nft rispetto ad un altro e ne comporti l’infungibilità (ad esempio, è ragionevole pensare che l’Nft n. 1 possa avere elementi di rarità tali da giustificarne una maggiore valorizzazione rispetto agli altri della collezione). Senza considerare che la stragrande maggioranza degli Nft sono emessi nell’ambito di collezioni, e dunque Mica finirebbe per andare a regolamentare un fenomeno che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto rimanere escluso.

Ancora maggiori dubbi suscita l’ulteriore previsione per la quale il Mica si applicherà anche agli Nft “apparentemente” infungibili ma utilizzati “di fatto” in modo fungibile, con ciò andando ad introdurre un altro elemento di incertezza. Questo perché si creerebbe un meccanismo di valutazione ex post sulla natura degli Nft basato su una valutazione delle autorità puramente discrezionale che mal si concilia con precisi obblighi regolamentari e di compliance in fase di emissione.

Pur vero che il concetto di fungibilità è tra i più dibattuti perché unisce criteri di oggettività ad altri di soggettività, cosicché beni oggettivamente fungibili possono invece essere trattati come infungibili e viceversa, era lecito attendersi ad esito di ben due anni di lavori sui tavoli istituzionali e tecnici un assetto normativo dai contorni più precisi e univoci, mentre allo stato le prospettive sono al contrario di grande incertezza interpretativa. La speranza è quella di vedere, prima della approvazione del testo definitivo, dei correttivi al testo che ci consegnino un quadro regolamentare più chiaro, estensivo o restrittivo che sia. 

Fonte: Wired

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